Taglia il nastro la rassegna “Benevento Città Spettacolo” interrogandosi sull’etica della morte

Parte all’insegna della discussione di una tematica forte la rassegna di Città Spettacolo 2017. Mastella sceglie di aprirla con monsignor Vincenzo Paglia, autore del saggio “Sorella Morte”. 

In Piazza F. Torre, alla presentazione del saggio “Sorella Morte”, intervengono anche Vincenzo Bassolino e Ortensio Zecchino, moderati dal giornalista Gigi Marzullo, che interroga i convenuti nello stile con cui è solito presentarsi al grande pubblico notturno. “Siamo prigionieri dei giudici. L’assenza legislativa in merito ai grandi temi del fine vita e della buona morte è grave. Urge colmare il gap”: questo in sintesi il pensiero del sindaco, che si dice incuriosito sin dalle prime pagine del libro, dove monsignor Paglia cita il punto di vista di un romanziere svedese, per il quale cinicamente la morte degli anziani eleverebbe il PIL.

Mastella prova a sintetizzare con il detto popolare, “Meno siamo meglio stiamo”, facendo riferimento alle spese di welfare che lo Stato è costretto ad erogare in una società popolata sempre più da anziani. Il cofondatore della Comunità di S. Egidio ricorda invece dei tanti anni della sua gioventù trascorsi a curarli gli anziani, a dargli ristoro. “Il libro nasce da una impennata di arrabbiatura”. Ricorda gli esordi accanto agli anziani abbandonati, già nel 1974 e gli anni ’80 accanto ai malati di AIDS. Il pensiero va ai tanti 31 dicembre allo “Spallanzani”, quando sembrava che molti di quei giovani non avrebbero visto la fine del nuovo anno.  “Pur nella sofferenza i malati non hanno mai chiesto di morire. I parenti lo facevano per loro”.

Il religioso si infervora quando invoca il superamento dell’ignoranza, che possa favorire l’avvento di una buona legge in materia. A Marzullo che gli chiede se abbia paura della morte lo scrittore risponde:” Ho una paura matta della morte. Ma averne paura è parte della fede e della vita. Se così non fosse condurremmo le nostre vite in maniera idiota” e conclude. Agli ospiti intervenuti il giornalista pone il quesito “Occorre prestare dignità per chi muore o per chi muore per pietà?”.

Nel riportare le proprie esperienze familiari di sofferenza Bassolino evoca la necessità per il legislatore di tener conto delle moderne sensibilità in materia di dignità della vita e dignità nel morire, che non sono in contrapposizione. Zecchino plaude allo scrittore, che ha apportato un contributo “onesto” alla discussione, affrontata anche dal punto di vista laico. Siamo in pieno dibattito sul tema. “Una volta il nascere e il morire costituivano due punti fermi. Poi l’intervento della scienza e il diritto hanno profondamente alterato entrambi i momenti”.

L’ex ministro menziona la carta costituzionale che ci indica la via in relazione alla sacralità della vita e alla autodeterminazione nelle scelte sanitarie e che inducono il medico a farsi carico dell’alleanza terapeutica e del consenso informato. Ma è nel confessionale dei momenti più drammatici che può realizzarsi quell’intesa necessaria tra medico e paziente e non c’è norma che possa intervenire, sostiene Zecchino. Questo pone il problema del mero tecnicismo con cui oggi ci si approccia al malato. “Una volta il medico conduceva tre anni di studi filosofici che gli conferivano capacità di approccio umanistico. Dobbiamo recuperarlo”. Il dibattito si conclude. A tirare le somme, i relatori, ciascuno nella individualità delle proprie posizioni di partenza e nella pluralità di vedute sono confluiti sulla necessità di recuperare umanesimo ed umanità.

Sonia Caputo

(Il Quaderno)