Nessuno deve morire in solitudine, cure palliative per i malati terminali

di Sandro Cappelletto

Il Vaticano promuove, oggi e domani, un convegno internazionale dedicato alle cure palliative. Il titolo è esplicito, diretto: Le cure palliativeovunque e per ciascuno, per ogni religione o fede. Venti milioni di persone ogni anno chiedono di essere assistite ad affrontare gli ultimi giorni di vita, 313.000 solo in Italia. Per la prima volta nella storia della Santa Sede questa urgenza, legata anche all’invecchiamento della popolazione, viene apertamente affrontata e discussa. La relazione introduttiva è affidata all’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e autore di Sorella morte – la dignità del vivere del morire.

Quale la motivazione di questo convegno?  

«Era indispensabile un supplemento di riflessione su un tema che riguarda un numero crescente di persone nel mondo. Dobbiamo trovare un modo spiritualmente bello di affrontare i momenti finali della vita».

I medici che nei 225 hospice attivi in Italia si dedicano a queste cure dicono: «La prima cosa che i nostri malati chiedono è: dottore, mi tolga il dolore». Togliere il dolore oggi è possibile, grazie ai farmaci e alla morfina. Lei condivide?  

«La lotta al dolore è più che giustificabile. Non si deve imporre la sofferenza per la sofferenza. La Chiesa non chiede questo. Tenendo presente comunque che nessuna goccia del nostro dolore va perduta».

In passato, la Chiesa ha sempre avuto tale consapevolezza?  

«Oggi questa consapevolezza si fa più chiara ».

La Chiesa può fare di più?  

«Certamente, e il convegno lo testimonia. Dobbiamo rendere possibile questa opportunità a tutti, in particolare nei Paesi più poveri. L’Italia ha al riguardo una buona legge, ma le statistiche dicono che la maggioranza della popolazione non la conosce. È necessario informare di più e meglio».

Quale il confine che lei pone tra cure palliative ed eutanasia?  

«Le cure palliative accompagnano e non interrompono mai. L’eutanasia interrompe».

Le giro la domanda che rivolge ai pazienti e ai familiari il professor Italo Penco, presidente della Società Italiana di Cure Palliative: «Quando giungiamo al fine-vita preferiamo avere qualche giorno di vita in più o più vita negli ultimi giorni?».  

«La risposta è la forza dell’amore che sta dentro la prospettiva di accompagnare il malato al fine-vita. Il malato, grazie ai medici, ai terapisti, ai familiari, alle persone care, deve essere avvolto dalla vicinanza di chi lo ama e lo sostiene. Bisogna evitare la sua solitudine. La parola latina Pallium significa mantello, che copre, protegge».

È così poco fashion, arcivescovo, parlare di morte. Soprattutto la nostra società occidentale, oggi, ha messo in atto molti meccanismi per rimuoverla. Come è possibile illudersi di rifiutare la morte?  

«In una visione iper-individualistica e iper-consumistica, l’idea della morte è la contraddizione più grande. Toglierle significato significa rotolare verso un narcisismo gradito al mercato. È il narcisismo triste della nostra società. La morte fa parte della vita, la sua certezza va accettata e compresa. San Francesco la chiama sorella morte».

Può anticiparci se giungerà un saluto del Pontefice?  

«Il Santo Padre ha voluto questo incontro. Il suo messaggio credo solleciti le comunità cristiane nel mondo a comprendere la forza di questa prospettiva e a ricordare che sono sempre più numerose le persone che ne hanno necessità».

Al convegno sono previste 26 relazioni, affidate a medici, terapeuti del dolore, uomini politici, dirigenti delle Società internazionali di Cure palliative, religiosi. I relatori provengono da ogni continente e professano religioni diverse. Perché ha voluto un orizzonte così esteso?  

«Uomini e donne di ogni parte del mondo, credenti o non credenti, devono sapersi preparare a questo passaggio».

La relazione di Tania Pastrana della Società di Cure Palliative del Sud America affronta la relazione tra povertà, sviluppo e accesso alla possibilità di una morte dignitosa. Anche in questo esiste un divario tra chi ha e chi non ha?  

«Un divario sempre più sensibile e intollerabile. Le notizie che ci giungono dai Paesi poveri testimoniano di quanto siano ancora diffusi dolore, solitudine, mancanza di dignità anche quando si muore».

Jinsun Yong, docente all’Università Cattolica di Seul, parlerà del rapporto tra spiritualità e competenze professionali tra i medici e i terapisti che lavorano nel settore delle cure palliative. Le medicine asiatiche adottano procedure di cura che nei nostri ospedali avrebbero difficilmente accesso. Come affrontate questa diversità?  

«Con la consapevolezza che in ogni parte del mondo, e dunque in ogni cultura e religione, esiste l’esigenza di affrontare con parole nuove questo momento , che a ben vedere è il momento più importante di ogni vita. Tutte le religioni sono tenute ad approfondire questa via all’accompagnamento, anche ascoltando esperienze diverse».

L’immagine scelta per annunciare il convegno è il quadro di un pittore contemporaneo, Stefano Di Stasio. Un anziano disteso sul letto di morte, accanto a lui uomini e donne più giovani che si tengono la mano e in primo piano un bambino.  

«Il dipinto esprime meglio di ogni parola il senso dell’accompagnamento. Le generazioni si uniscono attraverso la solidarietà delle mani, il bambino sta accanto al vecchio. La vita continua, nessuno è solo».

(da Vatican Insider)