Messa al Congresso latinoamericano di pastorale familiare

Care sorelle e cari fratelli,

iniziamo questo nostro congresso con la celebrazione eucaristica che ci vede tutti raccolti attorno al’’altare del Signore. Il Vangelo di Matteo ce lo mostra sul monte, in disparte dalla folla, a pregare. Aveva appena congedato quella folla entusiasta e grata per il miracolo della moltiplicazione dei pani, un evento che tutti e quattro i Vangeli riportano, tanto aveva colpito le prime comunità cristiane. Matteo racconta che erano presenti cinquemila uomini senza contare le donne e i bambini. Potremmo pensare perciò che attorno a Gesù non c’era gente singola, ma intere famiglie con tutti i componenti, appunto anche le donne e i bambini, tutti bisognosi di essere sfamati sia nel cuore che nel corpo.

Terminata la giornata Gesù però non si ferma in quel luogo. L’ansia di comunicare il Vangelo – è questo il senso più profondo della missione – lo spinge ad andare altrove. Potremmo dire che l’intera esistenza di Gesù è uscire: uscire dal cielo per venire sulla terra, uscire da Nazareth per andare nelle strade e nelle piazze della Galilea prima e della Giudea dopo per predicare il vangelo, uscire dalla terra di Israele per andare a Cesarea di Filippi e altrove perché anche lì doveva essere predicato l’amore di Dio e testimoniata la sua misericordia. L’evangelista, nel narrare il proseguimento della scena, sembra suggerire che i discepoli non erano dello stesso parere di Gesù, tanto che – così scrive Matteo – li “costrinse” a salire sulla barca e a precederlo all’altra riva. Se li costrinse probabilmente non volevano andare all’altra riva. Magari pensavano fosse più utile restare con quella gente, oppure avevano timore delle frequenti tempeste del lago.

Cari amici, è una tentazione abituale anche per i discepoli di oggi restare là dove si è abituati a stare e a svolgere i propri compiti e non preoccuparsi più di tanto della comunicazione del vangelo dell’amore sino ai confini della terra, nelle periferie geografiche ed esistenziali. Vorrei comprendere il senso di questo Congresso alla luce di questa pagina evangelica: credo perciò che il Signore ci spinga – ci costringa, meglio – a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva. Vorrei dire che Papa Francesco stesso si è fatto eco di questa “costrizione” per salire sulla barca e andare all’altra riva. Il Papa ha chiesto a tutta la Chiesa di andare oltre, di uscire da stessa, di rimettersi in cammino. Lo chiede a tutti, nessuno escluso. Anzi, avverte a non fare sconti a questa sua chiamata. E ascoltare questa pagina evangelica a Panama, un paese noto per il suo canale che permette di passare da un mare all’altro, superando dislivelli a prima vista impossibili, ci aiuta a comprendere ancor più la necessità e l’urgenza di metterci tutti “in stato di missione”. Forse non sappiamo bene cosa questo significhi per ciascuno di noi. Cosa significa per la pastorale familiare mettersi in stato di missione?  O meglio cosa significa per noi che stiamo qui e per le nostre Chiese diocesane una pastorale familiare missionaria? Ne parleremo in questi giorni. Di una cosa siamo certi: l’impresa è davvero ardua. Ed è forse per questo che c’è bisogno di essere “costretti”. Non che noi siamo stati costretti a venire qui per partecipare al Congresso. E tuttavia, leggendo questi giorni alla luce della nuova prospettiva lanciata da Papa Francesco, ci accorgiamo che la costrizione viene dall’urgenza con cui il Papa vuole che ci concentriamo sulla Famiglia. Ha voluto trattare questo tema al Concistoro, ha poi scelto di interpellare chiunque volesse attraverso un questionario sul tema, cosa mai avvenuta prima, e ha deciso di convocare due assemblee sinodali legate l’una all’altra da mesi di lavoro. Non è tutto questo una “costrizione” a salire sulla barca della famiglia – se così posso dire – perché affrontassimo questo tema con l’attenzione dovuta? Ecco perché possiamo parlare di un “kairòs”, di un tempo opportuno che chiede a tutti uno scatto nuovo nella preghiera, nella riflessione e nell’i impegno missionario. Anche questo Congresso – sebbene sia stato programmato da tempo – deve acquisire una urgenza nuova, una creatività nuova.

Gesù per primo conosce le difficoltà della traversata, per questo sale sul monte a pregare. Sa che deve fare non la sua ma ala volontà del Padre. E dalla contemplazione del Padre, dal colloquio con Lui, tutto deriva. Possiamo vivere questa celebrazione eucaristica collocandoci sul monte accanto a lui, in preghiera. E chiediamo al Signore il Suo Spirito perché ci illumini e ci dia la forza di compiere l’indispensabile traversata. Abbiamo bisogno del suo aiuto e della sua stessa forza. Non dobbiamo temere. Agli apostoli tremebondi il Signore disse: “Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi, perché io vado al Padre”(Gv 14, 12).

La traversata che siamo chiamati a compiere non è semplice. Il vento contrario di cui parla l’evangelista possiamo paragonarlo a quello della cultura contemporanea che tanto spesso suscita onde avverse per ferire se non distruggere le famiglie. Tutti noi ne siamo ben consapevoli. E in questi giorni rifletteremo su questo. La missione chiede anzitutto di avere gli occhi ben aperti. Non vogliamo né possiamo restare alla riva per paura dei venti contrari. Non possiamo né vogliamo ritardare la traversata fermandoci sulla riva stigmatizzando i venti e le onde. Il Signore ci chiede di prendere il largo – pensiamo al “duc in altum” dell’amato San Giovanni Paolo II che Papa Francesco ha voluto porre a protettore del prossimo Sinodo – e di entrare dentro questo vento contrario e affrontare le onde avverse suscita e che mettono in difficoltà la famiglia e suoi membri. Dobbiamo portare tutti all’altra riva. E’ l’invito pressante che Papa Francesco non cessa di rivolgere a tutti. Alcuni mesi fa chiese ai capi dei Dicastero Romani cosa significava per ciascun Dicastero l’Esortazione Aposotolica Evangelii Gaudium. Per parte mia, riflettendo sui compiti del Pontificio Consiglio per la Famiglia, risposi che chiedeva tutti noi certamente di custodire la ricca dottrina sul Matrimonio, Famiglia e Vita, ma soprattutto ci chiedeva di uscire e di scendere in un “corpo a corpo” con la realtà effettiva delle famiglie di oggi e di sentire sulla nostra pelle le tragedie, le angosce, come pure le speranze delle famiglie di oggi per aiutarle, per sostenerle, per incoraggiarle. Siamo chiamati sì a difendere i principi, ma soprattutto dobbiamo sentire l’inquietudine – quella angosciata di una madre, la Chiesa – della Salus animarum, della Salus familiarum. Davanti ai nostri occhi ci sono quelli delle madri dei padri, dei bambini, degli anziani, dei malati, dei soli che chiedono, che gridano il bisogno di essere amati e custoditi. Tutti, indistintamente, sentono il bisogno di famiglia. Molti di loro stanno affondando e stendono la mano.

Se potessi riprendere l’immagine evangelica di Pietro che obbedisce al Signore direi che Papa Francesco per primo si è calato nella condizione di queste persone, di queste famiglie, con il rischio di affondare con loro. Non abbiamo davanti un Pietro seduto a poppa sul trono papale, non abbiamo davanti a noi un Pietro tranquillo ripete formule sante già collaudate, abbiamo davanti un Pietro che si getta alle spalle la paura del fantasma e accetta il rischio dell’obbedienza a camminare sulle acque agitate. E’ la Chiesa in uscita nel mare in tempesta. E Pietro è ancora una volta il primo tra tutti. Esce dalla barca che, seppure sballottata, è comunque sicura, e a piedi nudi si avventura sulle acque agitate dal vento contrario. Del resto, quante volte papa Francesco, afferma di preferire una Chiesa accidentata ma in uscita che una Chiesa autoreferenziale e chiusa in se stesa e che non riesce a toccare più il cuore della gente? Lo so che è azzardato commentare così questo passaggio evangelico. Ma san Roberto Bellarmino affermava che sarebbe andato anche all’inferno pur di salvare una sola anima, non solo in mare aperto. E Gesù stesso, il sabato santo, è sceso negli inferi per salvare gli uomini dall’abisso della morte. Papa Francesco ci sta davanti come il primo missionario della Famiglia: scrutiamo le sue parole e i suoi gesti, ci sta indicando la via della pastorale per le famiglie.

Cari amici, credo di dover sottolineare l’indispensabilità anche per noi, anche per voi operatori della Pastorale Familiare, di leggere e rileggere l’Evangelii Gaudium. E’ uno scrigno pieno di sapienza evangelica per affrontare il momento che stiamo vivendo. Dentro quelle pagine è racchiuso un vento forte che, se liberato, è capace di far arretrare i venti contrari che vogliono impedire alla barca di traversare illesa il mare e giungere all’altra riva. Non credo di esagerare nel dire che accogliere nelle nostre riflessioni – e mi auguro non solo tra noi, ma soprattutto nelle assemblee sinodali e negli incontri che faremo nelle nostre Chiese locali – la ricchezza delle ispirazioni contenute in quelle pagine, vuol dire essere come presi per mano dal Signore e trovare l’ispirazione e la forza per giungere all’altra riva non solo noi ma i tanti che aspettano di essere consolati e confortati.

Siano questi giorni per noi un momento di grazia, di preghiera, di lavoro, di fraternità e di gioia avendo nel cuore lo spirito di Pietro, lo spirito di papa Francesco e davanti ai nostri occhi i volti concreti delle nostre famiglie dell’America Latina e dei Caraibi. E il Signore ci aiuterà a raggiungere la riva e ad essere simili al bordo del suo mantello. Scrive il Vangelo nel versetto seguente: “quanti lo toccavano venivano guariti”. E così sia.