“L’isolamento non significa solitudine. Si può vivere la fede in modo nuovo”

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“L’uomo di oggi ha paura di rimanere solo” ma “l’isolamento non significa solitudine”. E questo tempo in cui veniamo esortati ad evitare gli assembramenti, è importante “riscoprire un nuovo modo di vivere la fede, nelle relazioni dirette”.

Parla, al Giornale, monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e suggerisce modi per riscoprire il senso pieno della cristianità in tempo di coronavirus.

Come cambia il modo di vivere la fede?

“Più che cambiare direi che è necessario riscoprire dimensioni troppo trascurare della fede cristiana. All’inizio della Quaresima il Vangelo ci ha invitati a pregare nell’intimità della nostra stanza, a tu per tu con Dio. L’uomo contemporaneo ha paura di rimanere solo, anche se per un po’ di tempo, dobbiamo riscoprire la bellezza di un tempo dilatato e opportuno per tornare a dare valore ad un libro lasciato sul comodino, al Vangelo che resta nello scaffale, per favorire la riflessione e la profondità dell’animo. Sappiamo quanto sia importante eliminare il rischio di contagiarsi lavandosi le mani, pulendo le superfici, il virus non resiste molto tempo in superficie. Ma così è anche per l’uomo. Senza profondità muore”.

Come può, un cristiano, cambiare il suo modo di vivere la fede?

“La parola religione ha in sé il senso del legare, del legame. Essere cristiani è tendere al legame con Dio e con gli altri, insomma vivere in comunione. Chiesa significa assemblea.  Nel Vangelo è scritto che quello che leghiamo sulla terra sarà legato anche in Cielo. Anche una monaca di clausura non fa vita solitaria, slegata dal mondo e dalla Chiesa. Nel servizio della  preghiera tende alla comunione con tutto l’universo. Oggi però non si può essere troppo sociali, il contagio del virus si combatte con molte precauzioni alla socialità. Ma attenzione: isolamento non deve significare solitudine! Possiamo riscoprire la ricchezza dei legami, di un legame fiacco e stanco, per riaccenderlo. Possiamo ricordare quanti anziani vivevano soli anche fino alla scorsa settimana e donare loro un po’ di compagnia o anche una lunga telefonata, un regalo. Il cristianesimo è la religione dell’incontro personale e fedele”.

Viviamo un tempo di grande paura. Questo può frenare il recarsi in chiesa, avvicinarsi agli altri. Anche lei ha paura?

“La paura, quando è sensata e ben motivata, fa sopravvivere e suggerisce strategie utili all’uomo. È sempre stato così. Anche io ho paura per l’Italia, per l’Europa e per il mondo intero, per gli anziani soprattutto. Ma c’è bisogno di una paura ragionata. Vedo con piacere che riscopriamo tutti il valore della scienza, della cultura, di un sapere serio, puntuale,  condiviso che provochi la ricerca e stimoli i migliori talenti dell’umanità. Una paura infettata di virus ci fa fuggire, ma invano”.

Gesti negati, come lo scambio della pace, l’acquasantiera. Come cambia la spiritualità dietro questi gesti negati?

“Mancherà per alcune settimane il gesto dello scambio della pace. La Liturgia si impoverisce di un segno importante. Ma allora potremo tornare a riflettere. Gesù dice: vi do la mia pace, che non è come quella che da il mondo. La pace come la intende il mondo è, spesso, solo indifferenza e accidia, è cercare di non farsi mai contagiare dai problemi e dalle preoccupazioni dell’altro, con la scusa del rispetto delle distanze. La pace cristiana non è questo. È farsi operatori di pace, è lavorare perché dovunque ci sia una guerra, in un paese, in una famiglia, in una parrocchia, in un luogo di lavoro ci impegniamo per vivere insieme nella concordia e nell’armonia”.

Cosa pensa della decisione del Vaticano di trasmettere l’Angelus e l’udienza in streaming video?

“La decisione del Papa mostra la profonda preoccupazione di evitare ogni occasione di contagio, evitando che il popolo si accalchi, come accade quando il Papa è visibile. D’altra parte mostra anche il desiderio di Francesco di non lasciare il suo popolo senza una parola, senza un’indicazione chiara in un tempo oscuro e difficile per tutti. E l’uso buono della tecnologia al servizio della diffusione del Vangelo mostra quanto la Chiesa sia attenta alla comunicazione larga del suo messaggio”.

IL GIORNALE