“La misericordia è l’antidoto ai nazionalismi”

«Il pericolo è la selezione sociale dei manipolatori», spiega l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, che alle Nazioni Unite ha incontrato le Ong che si occupano di infanzia, vita e famiglia.

Quali sono le sfide bioetiche che attende la Chiesa della misericordia di Francesco? 

Forse per la prima volta, nella storia umana, l’uomo progetta di configurare e riconfigurare biologicamente i legami costitutivi della sua identità personale (la differenza sessuale, il legame uomo-donna, la generazione del figlio, le disposizioni psichiche, le funzioni mentali). L’ identità personale, d’altra parte, è sempre più concepita come un contenitore vuoto, a disposizione della volontà individuale. È l’opzione individualistica di cui parla anche Papa Francesco nella Amoris Laetitia. Non è strano che, in questo brodo di cultura, cresca un’euforia dell’onnipotenza – quella che gli antichi chiamavano ybris, – molto simile a una sindrome da padreterno. Il fatto è che quando metti le mani sull’albero della vita, metti le mani sui suoi germogli a venire. E su tutti noi.

È un cambio d’epoca? 

Molti uomini e donne incominciano a chiedersi perché non dovrebbero poter scegliere il format preferito dei figli da avere, perché non potrebbero decidere il momento più opportuno della loro morte, perché non dovrebbero accedere a prestazioni sovraumane, indotte chimicamente, biologicamente, ciberneticamente. E troppo pochi riflettono sul fatto che questa presunta ottimizzazione dell’efficienza manipolatoria diventerà uno dei più straordinari dispositivi di selezione di massa: pochissimi potranno governarla, moltissimi che ne saranno scartati. L’immagine della misericordia, da lei evocata, riconduce infine tutte queste domande dentro un quadro di relazioni interpersonali degli uomini e delle donne che si spenderanno per testimoniare la passione per l’umanità vulnerabile che forma la comunità reale, contrastando la selezione sociale imposta dai manipolatori. La famosa immagine della Chiesa come ospedale da campo, resa celebre da Papa Francesco, indica anche uno spirito nuovo anche per le società democratiche cosiddette avanzate. La governance democratica dovrà registrarsi in questa direzione: uscire dall’autoreferenzialità burocratica degli apparati e prendersi cura dei legami reali della comunità umana.

Qual è l’approccio della Santa Sede verso la difesa della vita? 

L’attesa e la speranza nei confronti del ruolo di grande autorità morale e di universale presidio umanistico che la Chiesa interpreta attraverso la rappresentanza della Santa Sede e nel suo complesso sono destinate a crescere. Un lavoro che impegna la Chiesa stessa ad uscire dalla logica degli apparati e delle burocrazie per assumere l’immediatezza – e direi la corposità – di una rete della testimonianza vissuta e famigliare. Ho appena toccato con mano il fatto che questa trasformazione è già all’opera proprio nelle grandi istituzioni della rappresentanza ecclesiale. La rappresentanza della Santa Sede presso le Nazioni Unite, per esempio, con la quale ho avuto contatto proprio la scorsa settimana a New York, stabilendo, grazie al lavoro del nunzio apostolico, contatti diretti con alcune Ong, non solo cattoliche, che si occupano – sul campo – di bambini, di famiglia e di vita. In questi conti la Chiesa cattolica deve far sentire la sua voce in una fase inquinata talvolta da sussulti nazionalistici.

In che modo si svolge l’attività dell’Accademia della Vita? 

La Pontificia accademia può contribuire a questa grande sfida culturale mettendo in campo tutte le energie che le derivano dalla presenza di studiosi ed esperti in varie discipline – dalla teologia alla filosofia, dalle scienze sociali alla medicina – provenienti da tutte le parti del mondo. L’atto principale della Pontificia Accademia per la Vita sarà certamente la prossima Assemblea Generale dell’Accademia, spostata nell’ottobre prossimo a causa del rinnovo del collegio degli Accademici, dove affronteremo alcuni dei nodi appena ricordati, e che avrà per titolo: “Accompagnare la vita. Nuove responsabilità nell’era tecnologica”. Stiamo lavorando poi a una serie di convegni su specifiche questioni decisive per la vita umana: l’eutanasia, le cure palliative, l’interazione tra l’uomo e la macchina, il rapporto tra mente e cervello, la mappatura del genoma umano. Sono solo alcuni temi che vogliamo approfondire scientificamente per un verso e portare all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale per l’altro. Naturalmente, attraverso questo lavoro di sensibilizzazione del mondo della scienza, si punta anche alla facilitazione di un confronto meno burocratico e contrattuale, ma più di confronto e di dialogo culturale, della Chiesa con l’interlocutore politico e istituzionale delle diverse nazioni e dei diversi governi.

Quali sono gli sviluppi nella difesa della vita e quali i possibili fronti di collaborazione interreligiosa? 

Certamente, per svolgere questo compito, l’Accademia non può lavorare solo all’interno dell’ambito cattolico. La Chiesa ha una tradizione sapiente che le permette, anzi la obbliga, a dialogare con altre tradizioni religiose e culturali. Spero di poter lavorare nei prossimi anni con il vasto mondo asiatico, arabo, africano, e così oltre. Già da ora, il Papa ha voluto che nel rinnovato collegio degli accademici fossero presenti non solo esperti cattolici, ma anche rappresentanti delle altre confessioni cristiane, di altre religioni, delle diverse tradizioni umanistiche mondiali.

(da Vatican Insider)