Decima settimana del Tempo Ordinario – lunedi

Mt 5,1-12

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi».

Matteo da al cosiddetto “discorso della montagna” un rilievo tutto particolare; fa salire Gesù su di un monte, il luogo per eccellenza da cui Dio ammaestra, come per suggerire un parallelo tra l’antica e la nuova alleanza. La prima fu sancita sul Sinai, la seconda riceve il suo sigillo su questo monte. Gesù ha davanti agli occhi una folla che lo segue da più giorni. Possiamo immaginarlo mentre guarda quegli uomini e quelle donne: ne conosce se non le storie, certamente le domande e i bisogni. E ne ha compassione. Ed è sul sentimento forte di compassione che si trova la ragione di questa scena evangelica. Le sue prime parole sono sulla felicità. O meglio su chi è felice. Gesù vuole proporre la sua idea di felicità e di beatitudine. Già i salmi avevano abituato i credenti di  Israele al senso della beatitudine: “Beato l’uomo che spera nel Signore, beato l’uomo che ha cura del debole, beato l’uomo che confida nel Signore”. Quest’uomo poteva dirsi felice. Gesù continua su questa linea e afferma che beati sono gli uomini e le donne poveri di spirito (e non vuol dire ricchi di fatto, ma poveri spiritualmente), e poi sono beati i misericordiosi, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, i perseguitati a causa della giustizia ed anche coloro che sono insultati e perseguitati a causa del suo nome. Parole come queste non le aveva dette mai nessuno; e i discepoli non le avevano mai udite sino a quel momento. E a noi che le ascoltiamo oggi paiono davvero molto lontane. Sembrano del tutto irreali. Potremmo anche dire che sono belle, ma certamente impossibili. Eppure, non è così, per Gesù. Egli vuole per noi una felicità vera, piena, robusta. In verità, quel che a noi sta più a cuore è vivere un po’ meglio, un po’ più tranquilli. E nulla più. Non vogliamo essere “beati” davvero. La beatitudine è diventata una parola estranea, troppo piena, eccessiva; è una parola così forte e così carica da essere troppo diversa dalle nostre soddisfazioni spesso insignificanti. Questa pagina evangelica ci strappa da una vita banale e ci spinge verso una vita piena, verso una gioia ben più profonda di quella che noi possiamo anche solo immaginare. Le beatitudini non sono troppo alte per noi, come non lo erano per quella folla che per prima le ascoltò. Esse hanno un volto davvero umano: il volto di Gesù. E’ lui l’uomo delle beatitudini, l’uomo povero, mansueto e affamato di giustizia, l’uomo appassionato e misericordioso, l’uomo perseguitato e messo a morte. Guardiamo quest’uomo e seguiamolo; saremo beati anche noi.