30 dicembre

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.


Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Dal Natale nasce una famiglia. È la festa di oggi: la famiglia di Gesù, santa perché sua. Non si diventa familiari di Dio per diritto; non è un?eredità; non è mai un possesso. È la famiglia di coloro che lo hanno accolto, che da lui ricevono il potere di diventare figli di Dio “i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”. Non basta essere o pensarsi suoi perché “venne tra la sua gente ed i suoi non lo hanno accolto”. Non basta dire “Signore, Signore” o stargli vicino, se il cuore è lontano: “Non vi conosco!”. È una famiglia larga, di uomini e donne veri, di fratelli più piccoli di Gesù, di peccatori perdonati, di uomini qualsiasi chiamati a seguirlo. È quella discendenza enorme – mistero dell?amore di Dio che non dobbiamo mai stancarci di contemplare – che compone il cielo stellato promesso ad Abramo. I suoi figli sono oggi dimentichi di appartenere ad un?unica discendenza e di essere eredi di un padre comune, il padre di tutti credenti. Quel cielo stellato è angosciosamente segnato dalla violenza, illuminato solo dai bagliori delle armi. È un cielo che si vuole diviso, oscurato dall?inimicizia che è tradimento della promessa di Dio da parte di figli poco credenti ed incapaci di sognare.
Dio viene a ricostruire il senso vero della famiglia umana, la vocazione di ogni uomo che è quella di figlio e fratello. Dio riunisce la sua famiglia per insegnare ad essere familiari davvero, perché vuole liberare dalla tentazione della solitudine. Dio sa che non è mai buono per l?uomo essere solo. Dio stesso non vuole stare solo. Per questo genera una famiglia per “tutte le genti”, come canta Simeone. Oggi la liturgia ci presenta la Santa Famiglia di Nazareth. Cosa vuole insegnarci? Che il bambino Gesù ne è il centro, il cuore, il motivo dell?amore. Come dire che senza Gesù, e senza averlo preso con sé, non ci sarebbe stata quella famiglia, si sarebbe rotta al suo nascere. Giuseppe avrebbe lasciato Maria, se non avesse subito obbedito all?angelo; e se non lo avesse ascoltato dopo la seconda volta che gli parlò in sogno, Gesù sarebbe stato ucciso da Erode. Giuseppe ha preso con sé il bambino e ha salvato la sua vita e quella di Maria.
Prendiamo Gesù con noi e saremo salvi. Prendiamo Gesù con noi e sapremo vivere assieme, in famiglia e con gli altri. Accogliamo la parola dell?Angelo, il Vangelo, e sapremo percorrere le vie della vita, sapremo evitare i pericoli, e comunque trovare il nostro Egitto, il nostro rifugio, anche se ci costa. Ma solo se sappiamo guardare quel bambino debole e prenderlo con noi; solo allora sapremo – come scrive il Siracide – onorare il padre e la madre anziani, e anche se perdono il senno sapremo compatirli e non disprezzarli. Solo se sappiamo prendere con noi il bambino di Betlemme, sapremo guardare e amare i bambini, i nostri e gli altri. E se prenderemo con noi il piccolo Gesù, le mamme e i papà saranno più capaci di volersi bene. Chi prende con sé Gesù impara ad amare; al contrario, chi prende con sé solo se stesso, resta chiuso nel suo egocentrismo e incattivisce.
Care sorelle e fratelli, il Vangelo del Natale è tornato in mezzo a noi per rinnovare il nostro cuore, perché ognuno di noi si rivesta dei sentimenti di Gesù. L?apostolo Paolo ce lo ricorda: “Rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente”.
Simeone aspetta il conforto d?Israele. Cerca segni di speranza. Rappresenta tutta l?umanità in attesa di una luce che illumini le tenebre. È il desiderio di pace di un mondo ferito dalla guerra e dalla violenza. È la richiesta di un continente di poveri, che cercano futuro; di un mondo di anziani che, come tutti, più di tutti, se lasciati soli muoiono. Simeone riconosce il Signore e per questo può andare in pace. Vince sull?ultimo nemico che è la morte perché sazio dell?amore ricevuto. Quel bambino è segno di contraddizione per un mondo dimentico, che fugge disperatamente la debolezza. È segno di contraddizione per noi che trattiamo con sufficienza il fratello, che non ci fermiamo mai davvero con nessuno, che guardiamo con distacco il povero. È segno di contraddizione per cuori solitari che evitano la responsabilità dell?amore. Sopraggiunge Anna. Ella comunica il Vangelo e fa crescere Gesù nel cuore di chi l?ascolta. Il Vangelo scioglie il cuore, dona forza ed energia straordinaria in chi si apre a lui, ad ogni generazione e nelle diverse stagioni della nostra vita.
Gesù andò a Nazareth. “Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui”. Maria e Giuseppe proteggono quel Figlio, lo custodiscono, permettono che si rafforzi. Non compiono gesti straordinari. La loro famiglia è tutta intorno a lui. Sia così anche per le nostre famiglie. Diminuisca il nostro orgoglio, l?amore per noi stessi e cresca lui: ci insegnerà a volerci bene.
C?è bisogno della famiglia di Dio in un mondo che giustifica l?inimicizia, che ha paura dell?altro, che riduce la speranza ad ingenuità, un mondo indurito reso disumano dal calcolo e dal profitto! C?è bisogno della famiglia di Dio, dove i fratelli siano tali ed amici di tutti. C?è bisogno di una famiglia libera dalla tentazione del “mio”; una famiglia che non sia un albergo, freddo, casuale, ma luogo sensibile, pieno di affetto, di ricordo, di amore, di affabilità. C?è bisogno di fare crescere Gesù nel cuore e nella vita degli uomini, nella vita nascosta di Nazareth. Ne ha bisogno la casa comune del mondo, perché tutti si scoprano fratelli.