Sedicesima settimana del Tempo Ordinario – sabato

Matteo (13,24-30)

Un’altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25 Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò.26 Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania.27 

Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?28 Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? 29 No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30 Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».

La parabola della zizzania  è stata forse tra le parole evangeliche decisive in alcuni momenti storici, quando maggiormente gli uomini religiosi videro minacciati i diritti della verità e sentirono l’esigenza di difenderli. Si può dire che una lunga vicenda di guerre di religione, condotte dai cristiani, abbiano trovato principalmente in questo testo scritturistico capace di indurre riflessioni, ripensamenti e dubbi. Il padrone del campo, infatti, ha un comportamento assolutamente singolare. Egli si rende conto che un nemico ha seminato zizzania là dov’egli aveva seminato il seme buono. Eppure, ai servi che gli fanno notare l’accaduto, impedisce di tagliare l’erba cattiva sin dall’inizio. Perché questo padrone ferma lo zelo di quanti in definitiva vogliono solo difendere l’opera sua? La domanda ci introduce nel mistero dell’amore di Dio che è più grande delle nostre logiche. Potremmo dire che da questa parabola inizia la storia della tolleranza cristiana perché secca in radice l’erba malvagia del manicheismo, della distinzione tra buoni e cattivi, tra giusti ed ingiusti. In essa non solo c’è l’invito ad una illimitata tolleranza cristiana, ma persino il rispetto per il nemico, anche quando fosse nemico, non solo personale ma della causa più giusta e più santa, di Dio, della giustizia, della nazione, della libertà. Questa parabola, così lontana dalla nostra logica e dai nostri comportamenti fonda una cultura di pace. Oggi, mentre proliferano tragici conflitti, questa parola evangelica è un invito all’incontro e al dialogo. Tale atteggiamento non è segno di debolezza e di cedimento. E’ concedere ad ogni uomo la possibilità dis cendere nel profondo del proprio cuore per ritrovare l’impronta di dio e della sua giustizia.